I diari di viaggio di Carla Polastro

 

Armenia 

 

1° - 12 settembre 2012

 
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"Per quanto tu possa girare il mondo, non troverai mai una montagna come questa..."
 
Yeghishe Charents (poeta armeno, 1897-1937, a proposito del Monte Ararat)


Al mio Papà Piero (13 novembre 1916-15 ottobre 1984), che conosceva quasi a memoria "I Quaranta Giorni del Mussa Dagh"
e che mi ha insegnato a credere nel Dio "degli esuli e dei vinti", con infinito rimpianto


Domenica, 2 settembre:

Partiti ieri sera da Malpensa e transitati da Vienna, atterriamo all'aeroporto di Yerevan a una "ungodly hour", le 3,30 del mattino (l'una e trenta in Italia)!:-/

Impieghiamo un'ora e mezza circa per espletare le varie formalità. Quando, finalmente, riusciamo a raggiungere la hall arrivi, troviamo ad attenderci un incaricato della Hertz, che ci accompagna al parcheggio coperto, dove recuperiamo la nostra "mitica" Lada 4x4 (noleggiare un veicolo così "ruspante" si rivelerà una saggia scelta ...).

Lasciato il parcheggio dell'aeroporto, sprofondiamo nell'oscurità più totale: non c'è un solo lampione acceso, apparentemente. Ben presto, però, attraversiamo una specie di "Las Vegas in miniatura", con locali e case da gioco illuminati a giorno.

Grazie al Garmin noleggiato insieme alla Lada, raggiungiamo il B&B "Villa Delenda", nel centro della città, in una ventina di minuti.

Non sono nemmeno le sei, a questo punto. Per fortuna, troviamo già alzata l'amabilissima e anziana custode che, dopo aver consultato telefonicamente la direttrice, ci fa entrare.

Per un paio d'ore, "vegetiamo" sui divani dell'accogliente salotto di Villa Delenda, tappezzato di libri (a cui verranno ad aggiungersi quelli portati da noi, nell'ambito dell'iniziativa "un turista, un libro"). Poco prima delle otto, risaliamo in auto e ci dirigiamo verso il Marriott, in Piazza della Repubblica (Hanrapetutyan Hraparak), a pochi minuti di distanza, dove ci rifocilliamo con una lauta colazione all'Armenia Brasserie, al 3° piano dell'albergo, http://tinyurl.com/8esdq3t

Incamerate un po' di calorie, ci sentiamo un filo meno zombie.;-) Riprendiamo l'auto e saliamo fino al monumento noto come "Madre Armenia", http://en.wikipedia.org/wiki/Mother_Armenia, che, nel 1962, ha preso il posto di una colossale statua di Stalin. Non c'è alcun dubbio che si tratti di una delle sculture più brutte che abbiamo mai visto!;-)

Ridiscendiamo a valle e parcheggiamo a pochi metri dalla Cascata, un'imponente scalinata - la cui costruzione è iniziata in epoca sovietica e portata a termine grazie al filantropo armeno-americano Gerard Cafesjian - che sembra uscita dritta dritta da una tela di De Chirico, http://www.cmf.am/home/index_eng.html, http://en.wikipedia.org/wiki/Yerevan_Cascade

Saliamo, al suo interno, fino in cima, grazie a lunghissime scale mobili, per poi riuscire all'aperto e ridiscendere a piedi fino al livello stradale, con le sue aiuole fiorite e creazioni di Botero e di altri artisti contemporanei.

Il cielo è coperto e irradia una luce opaca, piatta, un po' malinconica.

La nostra prossima tappa è la minuscola e suggestiva cappella Katoghike, http://tinyurl.com/9m2zafd, all'angolo tra Sayat-Nova Poghota e Abovyan Poghots. E' affollata di fedeli per la messa domenicale. Purtroppo, è, al momento, "soffocata" da un cantiere edile, situazione che non consente nemmeno di fotografarla.

Sta per arrivare il momento più difficile e penoso del viaggio: la visita al Museo del Genocidio, http://www.genocide-museum.am/eng/index.php

Di colpo, mi sembra d'essere tornata la bambina decenne in pianto nell'Achterhuis dei Frank, sul Prinsengracht, ad Amsterdam, così impotente e disarmata contro l'indicibile crudeltà degli uomini nei confronti dei loro simili. 

Davanti alle immagini strazianti di scheletri che, un tempo, erano stati uomini, donne e bambini, gli occhi mi si riempiono di lacrime e il cuore, per dirla con Neruda, si trasforma in "un sacco di pietre oscure".

Quando mi ritrovo davanti alla bacheca in cui sono esposte le edizioni in tedesco, armeno, francese, inglese, ecc., de "I Quaranta Giorni del Mussa Dagh" di Franz Werfel, provo un'emozione fortissima, analoga a quella vissuta in un'alba dicembrina di sedici anni fa, di fronte al Taj Mahal (il monumento più amato dal mio Papà): è come se, per un breve istante, mi fosse stato fisicamente restituito mio Padre ...

Nel primo pomeriggio, torniamo a Villa Delenda. Ci viene assegnata la stanza "Surmalu", al pian terreno, arredata in maniera piuttosto spartana (in bagno, fra l'altro, non ci sono nemmeno dei ganci a cui appendere gli asciugamani - tranne uno vicino al lavabo - o una mensolina sotto lo specchio, e l'acqua calda va e viene ogni pochi secondi). Passiamo il resto del pomeriggio fra la nostra camera e il salotto, un po' recuperando le ore di sonno perdute la notte precedente, un po' leggendo.

Ceniamo, ottimamente, al "Dolmama", in Pushkin Poghots, a una decina di minuti a piedi da Villa Delenda.

Lunedì, 3 settembre:

Facciamo colazione con una coppia di Torinesi residenti a Riva del Garda che stanno aprendo una cartiera qui a Yerevan, e con una simpaticissima ex-ambasciatrice USA a Malta, che ora vive in Arizona.

Credo che ricorderò le marmellate di albicocche e amarene di Villa Delenda finché campo...;-)

Dato che, oggi, a Yerevan, musei e monumenti sono tutti chiusi per il turno settimanale di riposo, optiamo per una "gita fuori porta". La nostra prima meta è Etchmiadzin, a poco più di 20 km a ovest della capitale, dove hanno sede il quartier generale spirituale e amministrativo della Chiesa armena e il suo katholicòs (che, dal novembre 1999, è Karegin II).

Mayr Tachar, la cattedrale principale, si staglia, severa e imponente, contro il cielo tornato sereno. E' circondata da alberi, curatissime aiuole fiorite ed edifici ottocenteschi. Anche l'interno è molto suggestivo, con un bel soffitto affrescato. Decine di sottili candele gialle diffondono la loro morbida luce e un lieve sentore di cera.

Proseguiamo per la spettacolare Gola del Kasagh, a nord di Etchmiadzin, dove visitiamo il monastero di Saghmosavank, proprio a strabiombo sul precipizio, al di sopra del quale sfrecciano torme di piccole rondini (topini?), e dei cavalli pascolano placidamente su un prato a pochi metri dalla chiesa.

Troviamo, invece, chiuso - sarà l'unica volta che ci accade - quello di Hovhannavank, famoso, un tempo, per i suoi abilissimi amanuensi.

Tornando verso Yerevan, facciamo una breve deviazione fino al villaggio di Mughni, che vanta la bella chiesa di Surp Gevorg (San Giorgio), circondata da un delizioso giardino - con gli immancabili e rigogliosissimi salici piangenti - e da un piccolo frutteto.  

Rientrati in città, ci fermiamo sotto alla fortezza di Erebuni (che visiteremo l'11 settembre) e nel cortile della Moschea Blu, assai modesta, a dire il vero, e mantenuta in vita dall'Istituto Culturale Iraniano.

Cena libanese, stasera, all'eccellente ristorante "Liban" (che fantasia, eh?;-)), sulla Sayat-Nova Poghota. Ci sembra di essere tornati a Zahlé... Il proprietario, il sig. Artsiv, un Armeno nato in Siria e cresciuto in Libano, è una persona molto simpatica e cordiale, nonché un gran chiacchierone!

Martedì 4 settembre:

Altra escursione nei dintorni della capitale. Stavolta ci dirigiamo a sud-est, verso Garni e il suo tempio romano del I secolo, dedicato a Elio, il dio del sole (biglietto d'ingresso, 1000 AMD). Certo non lo si può paragonare ai templi di Baalbeck;-), ma la posizione è a dir poco splendida, con, là in basso, le impressionanti formazioni rocciose lamellari della Gola dell'Azat.

A una decina di chilometri a nord-est di Garni, visitiamo uno degli "highlights" di questo nostro viaggio in Armenia, ovvero il magnifico monastero di Geghard. Dal punto di vista architettonico e artistico, è senz'ombra di dubbio il monastero che ci ha maggiormente colpiti. Abbiamo trovato particolarmente affascinante la chiesa scolpita nella roccia viva.

Ma l'intero complesso è un'autentica meraviglia, e anche il setting è da togliere il fiato...

Pranziamo, a base di khoravats* (cos'altro?;-)), nel ristorante più vicino al monastero, su una terrazza a strapiombo sulla Gola dell'Azat. Non potremmo desiderare una location migliore.;-)

Nel pomeriggio, raggiungiamo, non lontano dall'aeroporto di Yerevan, le suggestive rovine della cattedrale di Zvartnots, dedicata a San Gregorio Illuminatore e risalente al VII secolo (biglietto d'ingresso, 1000 AMD; se si desiderano scattare delle foto, occorre pagare altri 500 AMD). Il crollo della chiesa venne provocato dal terremoto del 930. Del grandioso edificio rimane ben poco, frutto degli scavi effettuati nei primi anni del Novecento, ma le scarne vestigia emanano un grande fascino, mentre si stagliano, grigie, contro il cielo perfettamente limpido.

Abbiamo trovato interessante e ben allestito il piccolo museo, dove sono esposte - oltre a diversi reperti provenienti dagli scavi - foto di numerosi monasteri armeni.

Dopo un break a Villa Delenda, ceniamo, decisamente maluccio, al ristorante "Urartu". Ci rifacciamo, però, con un ottimo gelato al "Fontana Café", nella centralissima Northern Avenue.

* Carni alla griglia

Mercoledì 5 settembre:

Stamane, condividiamo il tavolo della prima colazione con un gruppetto di sei Francesi e con la già citata ex-ambasciatrice americana. La conversazione, in un "cocktail" anglo-francese, è decisamente vivace e piacevole.

Poco prima delle dieci, entriamo nella biglietteria di uno degli edifici più importanti di Yerevan, il cui contenuto gioca un ruolo fondamentale nell'identità nazionale armena, la Matenadaran (Biblioteca; biglietto d'ingresso, 1000 AMD; aperta al pubblico dal martedì al sabato, 10-16,30), http://en.wikipedia.org/wiki/Matenadaran 

E' visitabile solo una sala al 4° piano, ma che sala! Ciò che è esposto nelle bacheche - decine di manoscritti miniati di diversa provenienza e datazione - è una tale gioia per gli occhi... Per fortuna, a quest'ora non c'è ancora molta gente, perché gli spazi sono piuttosto esigui.

La nostra prossima meta è a 45 km a sud di Yerevan ed è un po' l'immagine-simbolo dell'Armenia. Sto parlando del monastero di Khor Virap ("pozzo profondo"), http://en.wikipedia.org/wiki/Khor_Virap, che si erge su una collina con, sullo sfondo, il Monte Ararat.

Oggi, dell'Ararat riusciremo a vedere giusto la cima. Il resto è nascosto da una spessa coltre di nubi.

Quando arriviamo a Pokr Vedi, è ormai quasi mezzogiorno. Il sole, alto nel cielo azzurrissimo, arroventa gli scalini che conducono al monastero. Il suo calore è appena stemperato da una leggera brezza.

Fu qui che Tiridate III tenne prigioniero in un pozzo San Gregorio Illuminatore (che diventerà poi il primo katholicòs della chiesa apostolica armena) per ben dodici anni.

Il monastero di Khor Virap è tuttora un'importante meta di pellegrinaggi e vi si tengono numerosi battesimi. Se ne sta celebrando uno proprio in questo momento, nella chiesa di Surp Astvatsatsin.

I morsi della fame cominciano a farsi sentire... Risaliamo in auto e riprendiamo la direzione di Yerevan: sullo stradone, venendo, avevamo notato un paio di ristoranti.  Ci fermiamo all'"Ararat" di Artashat, dove gusteremo, in una delle sue salette climatizzate e spendendo un'inezia, il miglior pollo arrosto della nostra vita.:-)

Rientrati nella capitale, visitiamo, su Hanrapetutyan Hraparak, l'interessante Museo Statale di Storia Armena (biglietto d'ingresso, 1000 AMD; aperto dal martedì alla domenica, 11-18). Troviamo particolarmente pregevole la collezione di reperti dell'Età del Bronzo, grazie anche a un sapiente allestimento. E' molto bella anche la sezione dedicata agli abiti, monili, merletti e ricami tradizionali.

Mi resta giusto il tempo di dare un'occhiata all'ultimo piano della Galleria d'Arte Nazionale (biglietto d'ingresso, 800 AMD; aperta dal martedì alla domenica, 11-17,30), sita nello stesso edificio. Nell'infilata di sale, dedicate all'arte europea, regna un micro-clima da serra tropicale. I ventilatori smuovono aria che sembra uscire da un asciugacapelli. Le custodi, comprensibilmente, hanno un'aria affranta. Nessuna delle tele esposte mi colpisce in modo particolare. In compenso, sono esposti alcuni splendidi mobili settecenteschi francesi e pregiate porcellane francesi, tedesche e danesi.

Stasera ceneremo piacevolissimamente nel dehors del ristorante "Charles", a pochi passi dalla Cascata.

Giovedì 6 settembre:

Lasciamo Villa Delenda intorno alle 6,30, non prima di aver riconsegnato le chiavi all'adorabile custode. Il suo sorriso è un dolce viatico...

L'essere così mattinieri ci permetterà, finalmente, di ammirare l'Ararat in tutta la sua gloria. Gianluca lo fotograferà "dans tous ses états"!;-)

Fra oggi e domani, nelle province sud-orientali di Vayots Dzor ("Gola delle Disgrazie") e Syunik, ci aspettano i paesaggi più suggestivi dell'intero viaggio.

Superata Areni (da cui proviene lo squisito vino rosso omonimo), prendiamo la strada per il monastero di Noravank ("Nuovo Monastero") e restiamo a dir poco folgorati dalla magnificenza del paesaggio. Vi lasceremo, inevitabilmente, un pezzetto dei nostri cuori...

Dal punto di vista cromatico, questi luoghi sono un vero incanto. E' tutto un trionfo di tinte vividissime, dalle varie nuances di verde della vegetazione, a quelle di rosso e arancio delle rocce, al blu cobalto del cielo.

La pietra rosata con cui è stato costruito Noravank spicca meravigliosamente, in questo contesto che non esiterei a definire fiabesco.

Sulla strada per Yeghegnadzor, notiamo un cartello turistico che indica la chiesa (in realtà si tratta di una cappella) di Ulgiur. Decidiamo di andarla a visitare, ancora felicemente ignari del fatto che, ben presto, ci troveremo su una mulattiera appena appena percorribile - esercitando grande cautela - con un 4x4. Gianluca, comunque, si divertirà da matti a guidare in condizioni così diverse da quelle a cui è abituato, e lo splendore dello scenario che si apre tutt'intorno a noi ci "ripagherà" ampiamente della scomodità del tragitto.

Eccoci finalmente arrivati alla cappella, a quasi 2.000 metri d'altitudine. Fa una struggente tenerezza una tale testimonianza di fede su questi brulli alpeggi spazzati dal vento e abitati da un unico mandriano, qualche mucca e migliaia di grilli, saltellanti nell'erba secca.

Sopra di noi, un falco sorvola lento e maestoso i suoi solitari domini.

Sono convinta che questo momento resterà il ricordo più prezioso della nostra breve permanenza in terra armena ...

Tornati sulla strada principale, ci fermiamo a mangiare a 6 km da Yeghegnadzor, in uno dei bungalow di legno di un ristorante che si affaccia su un piccolo stagno, a pochi passi dal fiume Arpa. Anche qui, prevedibilmente, il khoravats è squisito, così come il formaggio pecorino, le verdure e il lavash, http://en.wikipedia.org/wiki/Lavash

Si sta così bene, qui, all'ombra degli onnipresenti salici piangenti. Spira una deliziosa brezza vivificante. Ci giunge appena il rumore delle auto di passaggio, mentre ci fa compagnia lo starnazzare delle anatre che hanno eletto domicilio sulle acque e le sponde dello stagno.

Depositati i bagagli nella nostra stanza all'Arpa Hotel di Yeghegnadzor, ripartiamo alla volta di altri due monasteri, quello di Tanahat e quello ottocentesco di Arkaz.

A Tanahat, visitiamo, in completa solitudine, la chiesa di Surp Stepanos (Santo Stefano), voluta dai potenti principi Orbelian nel XIII secolo, e che ci colpisce, in particolare, per le incisioni e i bassorilievi sulle pareti esterne, davvero molto belli.

Ai lati della chiesa, sono visibili i resti dell'Università di Gladzor, fra le più importanti dell'Asia medievale, e di cui visiteremo più tardi il museo, nel villaggio di Vernashen.

Troviamo decisamente meno affascinante il ben più recente monastero di Arkaz, a un tiro di schioppo da Tanahat.

Dopo un paio d'ore di (meritato:-)) riposo in albergo, torniamo nei pressi di Tanahat al crepuscolo, a goderci il silenzio interrotto solo dal sibilo del vento, la luce soffusa, il volo dei rapaci, la maestosità delle montagne...

Prima di far ritorno a Yeghegnadzor, ci fermiamo a Vernashen, davanti al summenzionato Museo dell'Università di Gladzor (biglietto d'ingresso, 1000 AMD, chiuso il lunedì), ospitato in una piccola e leggiadra chiesa sconsacrata secentesca, San Hagop. Ha chiuso i battenti ormai da un paio d'ore, ma vediamo arrivare di corsa una ragazzina che, in inglese (rara avis!:-)), ci dice di essere la figlia della custode e che, se vogliamo, ci può far entrare nel museo. Inutile specificare che non ce lo siamo fatti ripetere due volte!;-)

Suzi e la sua migliore amica, Ani, ci tengono compagnia mentre Gianluca e io ci aggiriamo all'interno di San Hagop, che ha una pianta del tutto diversa da quella tradizionale armena. Alle pareti, sono appese le immagini dei principali monasteri del Paese, e nelle bacheche sono conservati documenti relativi a Gladzor e ad altre antiche università armene, sempre legate alla presenza dei suddetti monasteri.

Venerdì 7 settembre:

Anche oggi, per fortuna, il bel tempo ci arride. Arriviamo alla stazione di partenza della funivia "Ali di Tatev", http://tatever.com/en, nel paesino di Halidzor, a circa 115 km a sud-est di Yeghegnadzor, poco prima delle 11. Facciamo rapidamente i biglietti per la corsa delle 11,20 (A/R 4.000 AMD a testa). Nel frattempo, ci godiamo il panorama, il tepore del sole e l'aria frizzante di questa radiosa mattinata settembrina.

In cabina con noi c'è un folto gruppo di turisti tedeschi e svizzeri. Accanto a me si siede una simpatica signora berlinese, che parla più che discretamente l'italiano. La corsa dura una dozzina di minuti e offre ai nostri occhi l'incantevole scenario delle fitte foreste di querce e carpini che, dal Syunik, si estendono fino al confine con l'Iran.

La cabina risuona continuamente di "oh" e "ah" di meraviglia. Non a caso, l'aggettivo più "gettonato" risulta essere "wunderbar"!;-)

La stazione d'arrivo della funivia è a un tiro di schioppo dal bellissimo monastero di Tatev che, nell'Armenia medievale, giocò un ruolo spirituale, culturale ed economico di primissimo piano, con la sua insigne università e la sua grande biblioteca. Al suo apogeo, era abitato da 600 monaci.

Ci aggiriamo lentamente tra i diversi edifici. La vista sulla Gola del Vorotan, http://tinyurl.com/9sghx8n, è a dir poco spettacolare!

Entriamo nella chiesa di Surp Poghos-Petros (Santi Pietro e Paolo). Dalle alte finestre, penetrano fasci di luce che ricordano un'Annunciazione rinascimentale, http://tinyurl.com/9sqzuxm, e che ci regalano una profonda emozione.

Pranziamo con dell'ottimo formaggio pecorino, lavash e squisite verdure fresche (pomodori, peperoni e cetrioli coltivati qui a Tatev), nel piccolo punto di ristoro poco sopra il monastero.

Sulla funivia, al ritorno, ci imbattiamo in una coppia di Nashville, che da quattro anni vive a Ginevra, e in un'arzilla signora scozzese sulla settantina, che ci racconta dei suoi viaggi in bicicletta attraverso il Bhutan e il Perù (chapeau!).

Nel primo pomeriggio, raggiungiamo Goris, a una ventina di chilometri a nord di Halidzor. Dopo qualche giro a vuoto, riusciamo a trovare l'albergo in cui abbiamo prenotato una stanza, lo Yeghevnut (il Mirhav, già oltre sette mesi fa, era al completo). Ci viene assegnata una spaziosa tripla, arredata in modo semplice ma abbastanza confortevole. Il piccolo bagno, invece, sarebbe decisamente da ristrutturare.

Ripartiamo alla ricerca delle rovine del caravanserraglio di Kotrats, nei dintorni di Harzhis, non prima di aver fatto una breve deviazione nel villaggio rurale di Karahunj ("pietra sospesa"), dove il tempo sembra quasi essersi fermato.

Del caravanserraglio, http://tinyurl.com/8nx2n76, segnalato da un minuscolo cartello assai facile da mancare, resta davvero ben poco. Ma, anche qui, la cornice non manca di suggestione.

Riprendiamo la strada statale e torniamo nella zona di Tatev, dove ci fermiamo al cosiddetto Ponte del Diavolo. Peccato che questo luogo sia tenuto così male (sembra una discarica di rifiuti...), perché è veramente molto bello, con la sua Gola rocciosa semi-nascosta dalla vegetazione e le due piscine naturali, là in basso.

Ceniamo allo Yeghevnut, dove veniamo simpaticamente e allegramente coinvolti nella festa di compleanno di una nipotina dei proprietari dell'albergo. Manco a dirsi, l'oghee (vodka di frutta) scorre a fiumi!;-)

Ci voleva una festa di compleanno armena, apparentemente, per far ballare Gianluca...;-)

Sabato 8 settembre:

A causa delle pessime previsioni meteo relative a domenica, abbiamo deciso di concentrare nella giornata di oggi le visite che avremmo voluto effettuare nel corso dell'intero week-end. Staremo in giro per la bellezza di dodici ore!

Partiamo che non albeggia ancora. Ha appena smesso di piovere. Percorriamo i primi chilometri da Goris verso Martuni e il lago Sevan come immersi nell'ovatta, tanto sono basse le nuvole. Poi, per fortuna, la visibilità torna buona.

Ritroviamo il sereno al Passo Vorotan. La nostra prima tappa della giornata è al caravanserraglio di Selim, quello meglio conservato del Paese e che risale al 1332. Fu fatto costruire, come la chiesa di Tanahat, dai principi Orbelian, quando questa era una delle diramazioni della Via della Seta.

Vicino all'ingresso, stanno sdraiati due adorabili cucciolotti. Uno ci ignora bellamente, l'altro viene subito a farsi fare le coccole, mettendosi pancia all'aria, http://tinyurl.com/9yqxmet Come ce li porteremmo volentieri a casa... Purtroppo, dobbiamo limitarci a dar loro qualcosa da mangiare, prima di venir via.

Proseguendo verso Martuni e il Lago Sevan, facciamo, per colpa del GPS, un'involontaria deviazione nel villaggio di Madina. Non tutto il male viene per nuocere, però, perché veniamo "ricompensati" da questo scorcio idilliaco, http://tinyurl.com/98j75lx

Ricondotti sulla "retta via" da un gentilissimo tassista che passava da Madina, più tardi visitiamo il cimitero medievale di Noratus (aka Noraduz), disseminato di centinaia di khatchkar magnificamente scolpiti nella pietra.

Seguiamo la sponda meridionale del lago e, in breve tempo, arriviamo alla nostra prossima meta, il monastero di Hayravank, dove ce ne stiamo fermi, assaporando questo ennesimo momento di perfetta serenità. 

Gli unici suoni percettibili sono il sibilo incessante del vento, lo stridio dei gabbiani, il pigro sciabordio dell'acqua contro la sponda del lago, il lontano abbaiare di un cane...

Il nostro albergo, l'Harsnaqar Hotel Complex,  subito fuori Sevan, non lo si può non vedere, date le dimensioni un po' da "eco-mostro". Lasciati i bagagli nella nostra spaziosissima (e gelida) camera al terzo piano (qui usano la numerazione  all'americana; per noi, quindi, è il secondo piano;-)), pranziamo, unici avventori, nella grande sala da pranzo dell'albergo.

Poco dopo le 14, riprendiamo il nostro "tour de force", dirigendoci verso Dilijan, a una trentina di chilometri a nord-ovest di Sevan.

Allorché sbuchiamo dal tunnel (lungo oltre tre chilometri) che porta a Dilijan, si spiega davanti a noi una vasta foresta che già comincia a tingersi d'autunno.

Proseguiamo per un'altra ventina abbondante di chilometri, fino a raggiungere il paesino di Gosh e il suo monastero, la cui fondazione risale al 1188.

La chiesa principale, Surp Astvatsatsin, si staglia, massiccia, su un rilievo del terreno, contro il cielo che si sta rapidamente incupendo. Questo khatchkar, http://tinyurl.com/8uftoj8, appoggiato a uno dei muri della chiesa, sembra essere fatto di merletto, anziché di pietra...

Nella piccola chiesa dedicata a San Gregorio Illuminatore, l'aria è pervasa dal profumo dell'incenso, che sta lentamente bruciando in una ciotolina sull'altare.

Di fronte al monastero, sbuca, tra gli alberi, il mausoleo del suo fondatore, il chierico Mkhitar Gosh.

Tornando verso Dilijan, imbocchiamo, sulla destra, la deviazione per il monastero di Haghartsin ("Danza delle Aquile"). La strada pare un tortuoso tunnel vegetale.

Rimaniamo particolarmente colpiti da Haghartsin non solo per la vastità del complesso monastico, ma anche perché, grazie al recentissimo restauro, le sue pietre hanno ritrovato la tinta chiara di un tempo. Sembra quasi che emanino luce...

E' sicuramente uno dei monasteri che abbiamo maggiormente apprezzato, sia dal punto di vista architettonico, che per l'incantevole cornice in cui si trova.

Sulla via del ritorno, ci "concediamo" una pausa all'Artbridge Bookstore Café, nell'Old Dilijan Complex voluto dai Tufenkian. Fanno delle crêpes da leccarsi i baffi, e una bella cioccolata calda è proprio quel che ci vuole, in un fresco, piovigginoso pomeriggio di fine estate.:-)
 
Prima di rientrare in albergo, saliamo, con le ultime briciole di energia che ci restano, la lunga scalinata che conduce, sul promontorio di Sevan, a Sevanavank, il monastero fondato dalla principessa Mariam nell'874, e da cui si gode di una bellissima vista sul lago, illuminato dall'ultimo sole.

Ceniamo in hotel, con musica dal vivo e in compagnia di un gruppetto di Russi che vivacizzano un po' l'ambiente. Ci escono anche un paio di lenti col consorte ... La cosa comincia ad avere dell'incredibile!;-))

Domenica 9 settembre:

La pioggia sembra concederci una tregua. Ne approfittiamo per andare, in una mezz'oretta, a Tsaghkadzor ("Gola dei Fiori") che, in inverno, è una frequentatissima stazione sciistica. 

Visitiamo il monastero di Kecharis, con il suo bel giardino risplendente di rose bianche, giunte al loro "canto del cigno", a pochi giorni, ormai, dall'appassire.

La LP parla di una "funivia" che, in realtà, è una seggiovia (A/R 1500 AMD a testa). In questo periodo dell'anno, è in funzione solo il primo tratto, che arriva a 2.223 metri d'altezza.

Saliamo da soli, ma alla stazione d'arrivo, troviamo parecchi turisti iraniani (ne avevamo incontrato già altri a Garni e Geghard), che ci salutano con grande cordialità.

Prendiamo un caffè al bar, immaginandocelo ben più animato fra due o tre mesi, e facciamo qualche foto. Qualche raro squarcio d'azzurro mitiga un po' il grigiore del cielo e illumina brevemente il denso fogliame degli alberi.

Torniamo a valle, sempre tenendo le dita incrociate che non si metta a diluviare proprio ora, recuperiamo l'auto e la parcheggiamo davanti al Kecharis Hotel, nel centro del paese.

Facciamo due passi fino a piazza Tsakhunyats, dove è stato eretto un simpatico monumento al popolare mimo Leonid Engibaryan, http://tinyurl.com/94bt736 , dopo di che visitiamo l'interessante Casa-Museo dei Fratelli Orbeli (biglietto d'ingresso, 500 AMD; 11-18, chiusa il lunedì), grandi intellettuali armeni vissuti tra Otto e Novecento, http://tinyurl.com/93ekzy4 

Su una scrivania, ci sono un libro aperto e un vaso di fiori freschi, come se gli Orbeli dovessero rientrare da un momento all'altro...

Pranziamo all'accogliente "Jazzve Coffee House", al pianterreno del Kecharis Hotel.

Nel pomeriggio, di ritorno a Sevan, percorriamo un tratto del lungolago sotto un cielo color del peltro. Soffia un vento impetuoso, che increspa le grigie acque del lago, da cui sembrano emergere le nuvole, e che mette in difficoltà persino i gabbiani.

Sul suo promontorio, Sevanavank pare avvolto in diafani veli.

Visto il tempaccio, decidiamo di rientrare in hotel. E' piacevole starsene seduti, con un buon libro, fra le piante del jardin d'hiver dell'Harsnaqar,  ascoltando la pioggia che batte contro l'alta vetrata e la splendida voce di Adele che proviene dalla hall sottostante. Nel cielo sempre più cupo, si susseguono senza tregua i lampi. Il sordo rombo dei tuoni si confonde con lo scroscio dell'acqua.

Stasera, niente Russi al ristorante dell'Harsnaqar: ceneremo soli soletti, in un'atmosfera vagamente evocatrice di "Shining".;-)

Lunedì 10 settembre: 

Il cielo corrucciato e la pioggia battente di ieri hanno lasciato il posto a una trasparenza cristallina. L'aria è fresca e ancora gravida d'umidità. Le acque del lago, che osservo dal pontile dell'albergo, sono tornate del tutto tranquille e anche i gabbiani sembrano essere di buon umore, stamattina!

Ma ci attende un'amara sorpresa: l'auto non parte.:-/ Dovremo aspettare le nove (e non sono nemmeno le sette!) e l'arrivo dei bravissimi (e disponibilissimi) manutentori dell'Harsnaqar Hotel Complex, perché venga ricaricata la batteria della Lada 4x4 e poter, finalmente, ripartire, dopo un'altra mezz'ora, verso Haghpat e Sanahin. Visto il ritardo sulla "tabella di  marcia", rinunciamo, pur a malincuore, ad arrivare fino ad Akhtala.

Intorno alle 11,30, giungiamo al monastero di Haghpat, nella sua suggestiva cornice bucolica, alto sopra la Gola del Debed. L'erba dei prati risplende verdissima, sotto un cielo attraversato da grandi nuvole bianche e sfilacciate.

E' qui conservata una delle più mirabili espressioni dell'arte religiosa armena: l'Amenaprkich (Salvatore di Tutto), http://tinyurl.com/8o9kawu, risalente al 1273, e che sembra riecheggiare l'opera di Cimabue.

Arriviamo a Sanahin che comincia a cadere qualche goccia di pioggia.

Questo è il monastero, fra quelli che abbiamo visitato finora, di gran lunga nelle condizioni di conservazione più precarie. Vaste aree, infatti, sono transennate, perché pericolanti.

I tetti dei vari edifici, che sono immersi in un bosco, sono invasi dalle erbacce, quasi a creare una versione cristiana e armena del Ta Prohm angkoriano... Il tutto crea uno scenario malinconico e non privo di fascino.

Lasciato il monastero (nel frattempo ha già smesso di piovere), ci fermiamo un attimo, giusto il tempo di scattare un paio di foto, fuori dal Museo Mikoyan, http://tinyurl.com/9dp4by6, dove è esposto uno dei primi modelli di MiG, progettato da Artyom Mikoyan e Mihail Gurevich, http://tinyurl.com/9xbygp7

Si sono fatte ormai le 13,30. Urge mettere qualcosa sotto i denti!;-) Nel centro di Sanahin, troviamo il "Paradise Café", dove, con soli 690 AMD (1,20 euro circa), prendiamo tre (ottimi) panini, una bottiglietta d'acqua e un caffè. Quasi quasi ci trasferiamo da queste parti...;-)

Una volta rifocillati, ci dirigiamo verso Odzun, a una quindicina di chilometri a sud-ovest di Sanahin, dove visitiamo un'imponente chiesa del VII secolo, attualmente sotto restauro, http://tinyurl.com/8jkkd8d Al suo interno, compriamo qualche cartolina (che ci costano più del pasto consumato al "Paradise Café";-)), così da poterne avere un ricordo senza impalcature.:-)

Tentiamo poi di raggiungere il monastero di Kobayr, ma le condizioni estremamente accidentate del sentierino che lo collega col resto del mondo, rese ancora più precarie dalla pioggia caduta in questi ultimi giorni, ci fanno ben presto desistere. Preferiremmo evitare di romperci un braccio o una gamba proprio qui...;-)

Decidiamo, più saggiamente, di andare in albergo e di riposarci per il resto della giornata.

Come avevamo previsto, l'Avan Dzoraget Hotel, appartenente al Gruppo Tukenkian, è il più elegante e confortevole, tra gli alberghi in cui abbiamo alloggiato, qui in Armenia.

Dopo aver ripreso un aspetto (quasi) civile;-), scendiamo nella hall, calpestando alcuni magnifici tappeti (indovinate un po'...;-)) Tufenkian, e usciamo sulla terrazza, prima che si scateni l'ennesimo temporale.

Ci troviamo proprio su una sponda del Debed, in un setting rurale - delle galline stanno tranquillamente becchettando a qualche metro da noi - che contrasta non poco con questo boutique hotel di lusso.

Su un muretto, un micio che ci ricorda moltissimo il nostro Leo Ronnie (stilettata di nostalgia!), si gode, pancia all'aria e ancora per pochi minuti, il tepore del sole, http://tinyurl.com/9eyrfel

Ci sediamo al bar e, in men che non si dica, vien giù l'acqua a catinelle. Meno male che non ci troviamo più sul sentiero per Kobayr...

Ceniamo, stavolta in numerosa compagnia (il "grosso" degli ospiti è costituito da un gruppo di turisti scandinavi), nell'eccellente ristorante dell'albergo.

Dopo un brandy "Ararat" per Gianluca e un Grand Marnier per la sottoscritta, è tempo di andare a nanna...

Martedì 11 settembre:

Al risveglio, il primo pensiero va, inevitabilmente all'11 settembre di undici anni fa.:-(

Subito dopo la prima colazione, lasciamo l'Avan Dzoraget Hotel alla volta di Stepanavan. Ci ritroviamo ben presto su una strada che dev'essere stata asfaltata in epoca sovietica e poi caduta nell'oblio, almeno per quel che concerne le autorità della provincia di Lori preposte alla manutenzione stradale... Per fare una manciata di chilometri ci mettiamo un'eternità.:-/ Il paesaggio, però, è incantevole (bisogna pur "consolarsi" in qualche modo, no?;-)).

Un consiglio: se vi capitasse di dover andare da Dzoraget a Stepanavan, fate il giro largo, passando da Vanadzor. Allunghereste di parecchi chilometri, ma ci mettereste, comunque, meno di quel che abbiamo impiegato noi facendo la strada diretta.

A 4 km circa da Stepanavan, sulle rive del fiume Dzoragets, si ergono le scarne rovine della fortezza di Lori (Lori Berd).

Anche qui, siamo gli unici visitatori presenti. Regna una quiete assoluta. Si sentono solo il frinire dei grilli e lo scroscio di una cascatella. Sopra di noi, l'immancabile coppia di falchi si staglia, scura, contro gli sprazzi d'azzurro tra le nubi di un cielo ancora incerto. 

Pranziamo in una rustica trattoria lungo la strada per Spitak, l'unico posto dove abbiamo avuto la netta impressione che ci abbiano applicato la "sovrattassa turisti", poiché abbiamo pagato 9000 AMD, contro i 5 o 6000 pagati in locali analoghi (o addirittura migliori) e per pasti del tutto simili.

Arriviamo a Yerevan giusto in tempo per visitare la fortezza e il museo di Erebuni (biglietto d'ingresso, 1000 AMD; dal martedì alla domenica, 10-16,30), nella periferia sud della città.

I resti della fortezza sono poco più leggibili di quella di Lori, ma il museo conserva reperti interessanti, come dei frammenti di pittura murale e due rhyton in argento di raffinata fattura.

Approdiamo a Villa Delenda intorno alle 17. Ci viene assegnata la stanza "Malatia", al primo piano, arredata ancora più semplicemente della "Surmalu". 
 
Ceniamo, per la seconda volta, al ristorante "Liban", accolti sempre con grande cordialità dal sig. Artsiv.

Torniamo al B&B per qualche ora di sonno, visto che il volo delle Austrian Airlines che ci riporterà in Europa è previsto alle 4,25 del mattino (sigh!).

Alle due, riconsegniamo le chiavi alla custode, che si accomiata da noi con il suo solito, amabilissimo sorriso, pur avendo dovuto alzarsi nel cuore della notte.

Riconsegnata anche l'auto a noleggio, non ci resta che fare il check-in e superare i controlli di sicurezza...

Ts'tesutyun, Armenia!
 

Carla Polastro 

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