I diari di viaggio di Carla Polastro
 
 
 
 
Marocco - Marzo 2009
 
 
 
 
 
"Sono [i richiami dei mendicanti ciechi]
arabeschi sonori intorno a Dio,
ma sono ben più impressionanti di quelli
che si presentano davanti ai nostri occhi."
 
 
Da "Le Voci di Marrakech" di Elias Canetti
 
 
 
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Domenica 22 marzo 2009:

Essendoci alzati a un'ora "drammaticamente" antelucana (le 3 meno un quarto), oggi non brilliamo certo per energia e dinamismo...:-) Lo sbalzo termico (da -1° C a +30° C) non aiuta neanche un po' a migliorare le nostre condizioni generali, ça va sans dire. Sarà quindi cosa saggia prendercela con molta calma, in questa prima giornata marocchina.

Dopo più di un'ora di coda al controllo passaporti, approdiamo al riad "Dar Attajmil", http://www.darattajmil.com, poco prima di mezzogiorno. L'ombra degli alti banani del patio è un rifugio delizioso dalla polverosa calura della strada. Mentre compiliamo i moduli di registrazione, ci viene offerto l'immancabile tè alla menta. Veniamo poi invitati a salire sulla terrazza, un autentico angolino d'eden, con il suo rigoglioso pergolato, la bouganvillea, l'agave, le rose in piena fioritura... Come si sta bene qui, rinfrescati da una leggera brezza, sorseggiando tè e sgranocchiando biscotti, con il volo di miriadi di rondini a tenerci compagnia. A tenerci compagnia sono anche i due mici che vivono nel riad e Besma, la dolcissima bimba di Fatima, la cuoca.

Ci avventuriamo fuori dal riad intorno alle quattro. Attraversiamo sotto un sole ancora alto la piazza principale di Marrakech, la leggendaria e animatissima Jemaa el-Fna, fino a raggiungere il simbolo della città, la magnifica Koutoubia, capolavoro dell'architettura almohade. Il caldo ci spinge a cercare un po' di refrigerio nei vicini giardini pubblici, affollati, in questo pomeriggio domenicale, da famiglie con bambini e coppie di innamorati. La maggior parte dei turisti sembra essere francese, spagnola e italiana, ma non mancano gli Inglesi e i Tedeschi, oltre a più rari Nordamericani. Insomma, il centro di Marrakech è un'autentica Torre di Babele!:-)

Ceniamo da soli, a lume di candela, sulla terrazza del riad, nella luce violetta e limpida del tramonto. Ascoltiamo l'antico richiamo del muezzin, lo stridio delle rondini, le voci che salgono dalla rue Laksour, il rombo degli onnipresenti motorini.

Lunedì 23 marzo 2009:

Ritemprati da una buona nottata di sonno e da una "robusta" prima colazione:-), alle nove partiamo "alla scoperta" della città. La nostra intenzione è di prendere un taxi e di farci portare ai giardini Majorelle, ma - arrivati davanti alla Koutoubia - vediamo un double-decker rosso che effettua due tour panoramici, la "Marrakech monumentale" e la "Marrakech romantica (La Palmeraie)". Decidiamo di prenderlo (i biglietti costano 130 dirham l'uno e includono entrambi i tour), saliamo al piano superiore e ci sediamo in prima fila, a goderci il panorama, il sole e l'aria fresca del mattino. Il bus costeggia le mura della Medina, si ferma davanti al Palazzo della Bahia, poi in prossimità delle Tombe sadiane, per uscire infine dalla città vecchia e inoltrarsi sull'avenue Mohammed V, una delle principali arterie della città nuova. Superate place de la Liberté e place du 16 Novembre, arriviamo nel cuore del quartiere di Gueliz, dove scendiamo, per dirigerci a piedi verso i già citati giardini Majorelle, http://www.jardinmajorelle.com . Li raggiungiamo percorrendo due vie molto trafficate, il bd Mohammed Zerktouni e l'avenue Yacoub el-Mansour. Fatti i biglietti (30 dirham per il solo giardino), in un attimo ci troviamo come su un altro pianeta, immersi nell'ombra e nella quiete (nonostante il notevole afflusso di visitatori) della "bambouseraie", un vero incanto! Purtroppo solo una piccola frazione del vasto spazio verde creato da Jacques Majorelle a partire dal 1924 è aperta al pubblico. Ma è comunque sufficiente per captarne l'atmosfera quasi fatata,l'armonia che si cela dietro all'apparente caos degli alberi, della profusione di fiori e di piante grasse. In un angolo particolarmente tranquillo, un frammento di colonna romana ricorda Yves Saint-Laurent che, insieme a Pierre Bergé, nel 1980 acquistò il giardino, riportandolo all'antico splendore. Pesci rossi e tartarughine nuotano beatamente in una grande vasca che, nella stagione delle ninfee, dev'essere un'apoteosi di tinte pastello. Ci sediamo nel delizioso "Café Majorelle", nella penombra creata da grandi teli écru. La spremuta d'arancia ha tutto il gusto e il colore di questa terra e di questo sole...

Vista la non troppo piacevole scarpinata dell'andata, per tornare alla fermata del bus panoramico prendiamo un taxi. In pochi minuti siamo nuovamente di fronte all'Office du Tourisme di Gueliz. Un quarto d'ora d'attesa ed ecco arrivare il nostro double-decker, a bordo del quale passiamo davanti alla nuova, imponente stazione ferroviaria (il cui ingresso si ispira alla Bab Aguenaou, la porta d'accesso alla kasba di Yacoub el-Mansour, risalente al XII secolo), al Teatro Reale, al Centro Congressi, fino ai giardini della Menara. Tornando verso il centro, scendiamo di fronte a Le Méridien, nel cui bellissimo giardino, a pochi metri dalla grande piscina, pranziamo, http://tinyurl.com/d84oev . Nel primo pomeriggio riprendiamo il bus dove l'avevamo lasciato. Scendiamo in place des Ferblantiers. La nostra meta è l'"incomparabile" palazzo el-Badi, fatto erigere da Ahmed el-Mansour nel tardo Cinquecento (biglietto d'ingresso: 10 dirham; altri 10 dirham, facoltativi, per il minbar della Koutoubia).

Ne rimangono solo spoglie rovine, dopo le razzie ordinate da Moulay Ismail a beneficio della sua nuova capitale, Meknes. I rari frammenti di mosaico e una piccola, leggiadra fontana in marmo bianco, nell'immenso cortile ora disseminato di alberi d'arancio in profonde fosse che un tempo erano bacini colmi d'acqua, danno una pur vaga idea della perduta sontuosità di questo grandioso edificio. Al posto dei cortigiani di Ahmed el-Mansour, ora vivono qui tantissime cicogne: le mura sono praticamente ricoperte di nidi!

A nostro avviso, l'attrattiva maggiore di el-Badi è uno splendido minbar proveniente dalla prima moschea della Koutoubia. Di legni pregiatissimi, fra i quali il cedro, fu magistralmente intagliato da artigiani di Cordoba fra il 1137 e il 1147, su ordine dell'ultimo sultano almoravide, 'Ali bin Yusuf, http://tinyurl.com/dfpl9b .

Da el-Badi ci dirigiamo verso la Moschea della Kasba (n.b.: tutte le moschee di Marrakech sono precluse ai non-Musulmani), sulla cui destra si trovano le Tombe sadiane, uno dei complessi architettonici più suggestivi della città (biglietto d'ingresso: 20 dirham). Davanti al mausoleo più importante, quello di Ahmed el-Mansour e dei suoi più stretti famigliari, c'è una lunga coda di visitatori sia autoctoni che stranieri. Nell'attesa, camminiamo lentamente per la necropoli. Fra le tombe crescono rose di tanti colori diversi, dal bianco al rosso rubino, dal rosa al giallo. Una perfetta e solitaria rosa tea è sul punto di sbocciare.

Arriviamo finalmente alla soglia del mausoleo di Ahmed el-Mansour (non si può andare oltre), raffinatissimo esempio dell'arte islamica fra Cinque e Seicento. Il mihrab, in particolare, è decorato in maniera sontuosa, con l'arco sorretto da slanciate colonnine di marmo.

Davanti a Bab Aguenaou riprendiamo al volo il bus panoramico, torniamo a Gueliz e lì cambiamo pullman per effettuare il secondo tour, quello nella Palmeraie.

Imbocchiamo il bd de Safi e ben presto la città lascia il posto a un'enorme distesa di altissime palme, ulivi e rigogliosi alberi di mimosa, squillanti macchie gialle in un mare di verde. La strada, tortuosa e abbastanza stretta, si dipana tra ville, grandi resort e campi da golf. Placidi cammelli portano a spasso i turisti o si riposano nelle radure.

Verso le 18,30 facciamo ritorno al riad: un piccolo break ci vuole!:-) Per andare a cena ci immergiamo nella folla dei suq e di place Jemaa el-Fna, fino a raggiungere la terrazza al primo piano del ristorante "Les Prémices", dall'ottimo rapporto qualità/prezzo (circa 180 dirham per due entrées, due plats, un caffè, un tè alla menta e una bottiglia d'acqua minerale).

Martedì 24 marzo 2009:

Pochi minuti prima delle otto risuona il campanello del riad: è Lofti, il nostro autista. Scopriremo ben presto che non avremmo potuto essere più fortunati di così. E' simpatico, premuroso, puntualissimo e guida in modo impeccabile. Soffrendo parecchio le curve, ero un po' preoccupata per i numerosissimi tornanti della strada fra Marrakech e Ouarzazate, e invece, grazie a Lofti, il viaggio sarà "a breeze".:-)

La nostra meta è lo ksar di Ait Ben Haddou, http://whc.unesco.org/en/list/444, ma il bello - come spesso accade - sarà proprio arrivarci... I paesaggi che incontreremo lungo il cammino sono incredibilmente variegati e suggestivi. Grazie a un inverno eccezionalmente piovoso, la vegetazione, nelle vallate, è rigogliosissima, con nuances che vanno dal verde tenero del grano e dei fichi d'India, a quello argentato degli ulivi e dei pioppi tremuli, a quello smeraldino dell'erba.

E poi c'è il rosso della terra ricca di ferro, l'azzurro intenso del cielo, il bianco e il rosa degli alberi da frutta in piena fioritura, il giallo delle mimose, per non parlare del candore accecante delle cime innevate dell'Alto Atlante... Siamo davvero immersi in una sorta di "trionfo cromatico"!

Soffia un vento fortissimo, che scuote violentemente le fronde degli alberi, le vesti dei passanti, fa increspare le acque dei torrenti di montagna e costringe le greggi di pecore a formare compatte masse lanose. Quando scendiamo dall'auto per fare qualche foto, fatichiamo a restare ben saldi sulle gambe. Sembra quasi di essere in Patagonia!:-)

Al Tizi n-Tichka ("passo dei pascoli", 2260 m. s.l.m.), cominciamo la discesa verso Ait Ben Haddou, che raggiungiamo poco prima di mezzogiorno. Lofti ci "affida" a una guida locale, Abdullah, per la visita al sito. Già da una certa distanza, il colpo d'occhio è spettacolare.

Per guadare l'asif Mellah, che divide il villaggio moderno da quello antico, ci sono due alternative: a piedi o a dorso d'asino. Optiamo per la seconda. Per fortuna, a Gianluca non viene l'idea di fotografarmi in tale frangente, perché avrebbe potuto facilmente ricattarmi per il resto della mia vita, con un'immagine del genere!;-))

Arrivati sani e salvi sull'altra riva:-), ci inerpichiamo lungo le strette viuzze dello ksar. Abdullah, che parla un ottimo francese, ce ne racconta la storia, le cui origini risalgono all'XI secolo, segnata da innumerevoli scontri tra tribù ostili e dal passaggio di migliaia e migliaia di carovane, portatrici di tappeti, gioielli, spezie, dal Sahara a Marrakech. Pur in rovina, le fortificazioni conservano un
aspetto possente. Si stagliano vivide, con il rosso cupo del fango in cui sono state erette, contro il limpido cielo primaverile e le montagne. Le rocce tutt'intorno hanno sfumature rosa, azzurrine, verde pallido.

Abdullah ci dice quanto sia stato difficile, qualche anno addietro, trasferirsi nel villaggio moderno (dotato di acqua corrente ed elettricità), con la moglie e i figli. Se, come ha promesso l'Unesco, arriveranno acqua e luce anche nello ksar, ha la ferma intenzione di tornare a vivere nella casa in cui è nato e cresciuto, perché le sue radici sono qui, fra queste mura che offrono un perfetto riparo dalla calura pre-desertica, nei vicoli che conosce palmo a palmo e dove incrocia visi che gli sono famigliari da sempre.

Saliamo fino al punto più alto, dove sorgono i resti degli antichi granai, ad ammirare questo splendido panorama, godendoci una brezza leggera, che mitiga il calore del sole, alto in un cielo che sembra di porcellana finissima.

Sono ormai le tredici. Ridiscendiamo verso l'asif Mellah, ripetiamo la scena con gli asini (l'Unesco, a quanto pare, progetta anche di costruire un ponte, prima o poi) e andiamo a mangiare (men che mediocremente) in uno dei ristoranti del villaggio moderno.

Intorno alle tre ripartiamo per Marrakech. Facciamo un paio di soste lungo la strada, la prima delle quali al Tizi n-Tichka, dove un vento tipo bora triestina nei suoi momenti migliori:-) ci costringe a risalire velocemente in auto, per non essere del tutto accecati dai mulinelli di polvere.

Poco dopo le 18 siamo di ritorno al riad. Credo che questa giornata rimarrà nei nostri ricordi come l'"highlight" di questa breve vacanza marocchina...

Mercoledì 25 marzo 2009:

Oggi ci attende il secondo "round" di visite qui in città. Uscendo, incrociamo nel patio Joy e John, i simpaticissimi Canadesi (di Toronto) con cui abbiamo chiacchierato ieri sera, sulla terrazza del riad, sorseggiando vino bianco nel fresco umido della notte. Ci chiedono quali siano i nostri piani per la giornata e ci raccontano che loro prenderanno lezioni di cucina marocchina da Fatima.

I suq di Marrakech mettono a dura prova anche l'eccellente senso dell'orientamento di Gianluca (aka "la bussola umana":-)) e i cartelli turistici brillano per la loro assenza. Neanche chiedere indicazioni agli autoctoni sembra sortire l'effetto desiderato... Finalmente, con la coda dell'occhio noto una piccola scritta, "Musée de Marrakech", che so essere vicino alla madrassa di Ben Youssef e alla koubba el-Baadiyn, ovvero i nostri obiettivi. Ancora un piccolo sforzo e ci siamo, hurrah!:-) Sulla cancellata della koubba, un cartello ci informa che va acquistato un biglietto cumulativo (60 dirham) per koubba, madrassa e museo presso la biglietteria di quest'ultimo, http://www.museedemarrakech.ma

Visto che siamo già dentro al museo, lo visitiamo per primo. E' stato inaugurato nel '97, in una vasta dimora signorile di fine Ottocento, Dar Mnebbi. Bellissimo il grande patio, ora ricoperto da una cupola trasparente, dalle luminose piastrelle e dalle ricche decorazioni in gesso alle pareti. Nelle varie gallerie sono esposti gioielli, armi, ceramiche, abiti tradizionali, oggetti di culto ebraici, oltre a numerose opere d'arte contemporanea marocchina.

Ritorniamo alla koubba el-Baadiyn, uno dei pochi edifici dell'epoca almoravide ancora esistenti (fu riportato alla luce nel 1957). E' una piccola costruzione semplice, disadorna, sormontata da un'elegante cupola. Il custode, che sta controllando i biglietti, si rivolge a una ragazza chiamandola "Saigon". In realtà è una giovane Americana d'origine filippina.:-) Nel pomeriggio la incontreremo di nuovo e apprenderemo che si chiama Maria, che vive a Chicago dove lavora per la J.P. Morgan, e che ama viaggiare da sola.

Per quanto ci riguarda, "non c'è gara":-): la madrassa di Ben Youssef è il monumento più suggestivo di Marrakech! Da ogni dettaglio emanano armonia e raffinatezza. Dal soffitto dipinto dell'ingresso, alle decorazioni della sala di preghiera, immersa in una fresca penombra, al meraviglioso cortile pieno di luce, con la grande vasca per le abluzioni rituali al centro... Saliamo al primo piano, dove alloggiavano gli studenti. Non è difficile immaginare quanto severo dovesse essere il loro stile di vita, osservando queste anguste stanzette, pensando al gelo che vi doveva regnare d'inverno...

Dopo pranzo, la nostra prima tappa è al Palazzo della Bahia (biglietto d'ingresso: 10 dirham). Decenni fa doveva essere uno splendore, ma ora è in condizioni di degrado davvero deplorevoli, soprattutto tenendo conto che è di proprietà della famiglia reale.:-( Pareti e porte scrostate, piastrelle rotte, erbacce sui tetti e fra le piante del giardino... Ovunque regna un senso d'abbandono, di totale incuria, che mette molta tristezza. Solo i magnifici soffitti lignei dipinti conservano quello che doveva essere l'aspetto di un tempo.

Pochi minuti di cammino ci conducono al piccolo Museo Etnografico "Bert Flint", che ci è stato vivamente consigliato da Lucrezia, la co-proprietaria del Dar Attajmil. Chi è che ci fa i biglietti, se non il sig. Flint in persona?:-) Parla un francese perfetto, appena venato da un leggero accento olandese, ed è di una gentilezza squisita, da anziano gentiluomo qual è. Ci racconta che ha da pochissimo donato casa e collezione all'Università di Marrakech e che sta disperatamente cercando di trovare adeguati fondi per ingrandire il museo, così da potervi esporre degnamente l'enorme quantità di oggetti (dagli strumenti musicali a quelli agricoli, agli indumenti, agli oggetti rituali, ecc.) raccolti nel corso di un'intera esistenza. In effetti, l'impressione che si ricava visitando l'attuale sede del museo è di soffocamento. Gli oggetti sono praticamente accatastati un po' alla rinfusa, in bacheche del tutto insufficienti, rendendo "faticosa" la loro fruizione.

L'ultima visita di oggi è al Dar Si Said, sede del Museo d'Arte Marocchina, dove ritroviamo Maria e ci fermiamo una mezz'oretta a parlare con lei.

Anche questo edificio avrebbe urgentemente bisogno di un restauro. L'allestimento è polveroso e, francamente, desolante. Nemmeno il reperto più importante del museo (nonché il più antico di tutta Marrakech), una vasca marmorea per le abluzioni risalente al X-XI secolo e proveniente da Cordoba, che si trovava un tempo nella madrassa di Ben Youssef, è stato messo in risalto.:-(

Ceniamo nuovamente sulla place Jemaa el-Fna, a "Les Terrasses de l'Alhambra", un po' più caro ma anche più accogliente de "Les Prémices". Tornati al riad, passiamo ancora "un bon petit moment" con Joy e John. Domani sarà la volta della gita a Essaouira...

Giovedì 26 marzo 2009:

Alle 8 spaccate, puntualissimo com'è nel suo stile, passa a prenderci Lofti. Usciti da Marrakech, ci ritroviamo ben presto in una regione prettamente agricola, con uliveti, frutteti e campi di grano a perdita d'occhio su entrambi i lati della strada. Via via che ci avviciniamo a Essaouira, la campagna si fa più fertile e colorata. Il grano, ormai prossimo alla maturazione, si piega in onde dorate al dolce vento, con miriadi di papaveri a tingerlo di rosso vivo. Qua e là spiccano il giallo della colza e il celeste dei fiordalisi.

Ecco profilarsi i primi alberi di Argan, tipici della regione del Sous, dai cui frutti si ricava un olio prezioso sia per l'alimentazione che per la cura della pelle e dei capelli. E' con una certa sorpresa che vediamo delle caprette, in piedi sui rami più grossi, intente a brucare le foglie, assai nutrienti, di alcuni di questi alberi!:-)

Poco prima di arrivare a Essaouira, ci fermiamo in una cooperativa femminile dove viene estratto il summenzionato olio di Argan, tramite un procedimento lungo e paziente. Nello spaccio della cooperativa comprerei davvero un po' di tutto!:-)

Ci fermiamo nuovamente su uno spiazzo alla periferia della città, che offre un bel colpo d'occhio sull'antica Mogador e sull'oceano.

Lofti ci fa scendere nei pressi del porto. L'odore del mare e gli effluvi provenienti dal mercato del pesce  ci riportano di botto ai nostri anni genovesi... Entriamo nella sqala della kasba (10 dirham). Spira una leggera brezza salmastra, che stempera il calore del sole, a picco sopra di noi, in un cielo solcato da alte e sfrangiate nuvole bianche. A farla da padroni, su questa piattaforma in pietra, disseminata di cannoni spagnoli, sono i gabbiani, che sembrano mettersi in posa per le foto di noi turisti.:-) Molti altri volano bassi sulle onde dell'Atlantico, in compagnia di alcuni albatross, si affollano schiamazzanti sulle scie dei pescherecci che tornano carichi in porto.

Usciamo, un po' a malincuore, dalla sqala ed entriamo nella parte settecentesca della medina. Quella di Essaouira è l'unica, in Marocco, ad avere le strade ad angolo retto. Fu disegnata, nel 1760, da un ingegnere francese, Théodore Cornut, prigioniero del Sultano alaouita Sidi Mohammed ben Abdallah.

Il sole fa risplendere le candide facciate delle case e l'azzurro degli infissi. Troviamo delizioso il museo cittadino, intitolato al sultano fondatore. Ha sede in rue Laalouj, in quella che fu la residenza di ricchi mercanti dell'Ottocento. Durante il periodo coloniale francese, l'edificio ha subito diverse modifiche, fra le quali l'eliminazione della vasca posta all'ingresso, sostituita da un doppio scalone d'onore.

Le collezioni del museo, prettamente etnografiche, includono strumenti musicali (fra i quali molti provenienti dall'Andalusia), gioielli, tappeti del Tensift, caftani, oggetti di culto ebraici, ceramiche, pitture su legno, armi. Quasi tutti i reperti risalgono al XIX e XX secolo.

Si è ormai fatta ampiamente ora di pranzo. Ritroviamo Lofti al parcheggio e in pochi minuti raggiungiamo il ristorante dove abbiamo prenotato un tavolo al nostro arrivo in città, il "Fanatic", sul lungomare. Ci sediamo sotto un ombrellone, a pochi metri dalla spiaggia. Sarà di gran lunga il pasto migliore fra quelli consumati qui in Marocco: pesce (ovviamente) freschissimo, fatto alla griglia o fritto in maniera impeccabile, e "innaffiato" da un gradevole bianco di Meknes ("Domaine de Sahari Réserve"). Questa sì che è vita!;-)

Quando, nel tardo pomeriggio, suoniamo alla porta del riad, ad aprire è Fatima, sempre con il volto radioso e un'espressione ridente nei grandi occhi scuri. L'immagine di lei con in braccio Besma, mentre le sussurra, nel linguaggio universale dell'amore materno, piccoli nonsense teneri, resterà - ne sono convinta - il dono più bello che ci abbia fatto Marrakech...

Ceniamo a "Les Prémices", per poi riattraversare, un'ultima volta, un po' mestamente, la grande piazza, con i suoi banchi stracarichi di arance, di spezie, di frutta secca, i suoi musicisti, giocolieri, incantatori di serpenti, venditori ambulanti... Domattina si torna a casa.

 

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