I diari di viaggio di Carla Polastro

Emozioni Nepalesi - 2003





"Un improvviso desiderio di antiche pietre e di canti"


Christian Bobin






Per Gianluca, "amor mi mosse"







Mi ha fatto da prezioso vademecum in questo viaggio attraverso il Nepal, lo scritto di Pietrone, "Nepal per plantigradi". Definizione che calza a pennello alla sottoscritta, nota cariatide che, per dirla con il buon vecchio Eugenio M., appartiene alla "razza di chi rimane a terra"...

Il mirabile testo di Pietrone, però, mi ha posto davanti ad un grosso problema: cosa scrivere di più, o di originale, su questo Paese? Sul legno di sal meravigliosamente intarsiato, intagliato e scolpito, così duro e resistente da sembrare pietra? Sui templi pervasi dall'aroma dell'incenso, affollati di gente la cui fede è palpabile, col sangue dei sacrifici sul pavimento, il latte, la frutta, i fiori, il riso delle offerte davanti alle statue delle divinità? Sull'espressione assorta dei monaci tibetani, i suoni dei loro antichi strumenti, l'armonia rasserenante delle preghiere e dei canti? Sugli splendidi bambini, dagli "occhi come olive nere", sulle aggraziatissime donne in sari, sui loro sorrisi, i loro cenni di saluto? Sulle verdissime risaie a terrazza, i salici piangenti, le magnolie in piena fioritura, la rigogliosa bouganvillea, gli alberi dai profumatissimi fiori viola? Sulle colline più lontane che, come in una stampa giapponese, sono una massa evanescente, appena percettibile all'orizzonte.

Ho quindi deciso di non scrivere il mio solito "diario di viaggio", più o meno dettagliato, ma di concentrarmi sulle emozioni, impressioni e sensazioni che il Nepal e la sua gente mi hanno suscitato, sperando di riuscire a dare un minimo di coerenza al flusso di parole che mi frullano in testa e - soprattutto - nel cuore.

Mi piacciono le stanze d'albergo, le antitetiche sensazioni di estraneità ed intimità che nascono da uno spazio anonimo, che diventa nostro per un lasso di tempo più o meno breve, che si "popola" di indumenti ed oggetti famigliari... Così come ha sempre esercitato su di me un fascino irresistibile la carta intestata degli hotel ed è su quella dello Yak & Yeti di Kathmandu e poi su quella del Fishtail Lodge di Pokhara, che ho iniziato a buttare giù i miei primi pensieri, le mie prime impressioni su questo viaggio.

Mentre scrivo, rifletto sulla "gentilezza degli sconosciuti", su quanto siano preziosi i fugaci, memorabili istanti d'empatia con chi incrociamo lungo il cammino e lasciamo entrare - anche solo per quell'attimo - nell'angolo dell'anima dove, di solito, si sta del tutto soli. Rifletto sull'enormità di quanto ci accomuna, al di là ed al di sopra delle differenze razziali, sociali, culturali, religiose, ideologiche, economiche... Sul nutrimento che ci viene da un sorriso, da una frase o un gesto gentile. Su quanto importante sia per me (e certo non solo per me!), non lasciarmi imprigionare nello stereotipo-camicia di forza del "turista occidentale che porta valuta pregiata". Inutile negare d'essere "anche" questo, ma voglio soprattutto ed innanzitutto essere qualcuno che reca con sé il proprio desiderio di comunicare, di capire, di conoscere e farsi conoscere, per quanto possibile in così poco tempo... Trovo che uno dei più grandi piaceri del viaggiare sia poter dialogare con persone che, altrimenti, non avresti mai incontrato, siano esse autoctoni o altri visitatori. Un altro di questi piaceri è rappresentato dalla lettura dei giornali locali (quando la lingua in cui sono scritti me lo permette, ovviamente!). Allo Yak & Yeti, ogni mattina, trovo sotto la mia porta una copia de The Kathmandu Post ed è subito diventato un piccolo rituale leggerlo prima di scendere a fare colazione, anche se le notizie - ahinoi - non sono affatto buone.

A proposito dello Yak & Yeti, la sua ala ottocentesca, ovvero il palazzo rana "Lal Durbar", è magnifica. Di sera, fiocamente illuminata, è ancora più suggestiva. Vorrei veder uscire dalle cornici i personaggi storici immortalati nei dipinti e nelle fotografie appesi alle pareti. Gentiluomini in alta uniforme, delicate signore in sari o crinolina, la preziosità delle parures: li immagino scendere lentamente l'imponente scalone che adorna la grande sala centrale, dal soffitto altissimo, nel brillio di centinaia di candele. Mentre mi aggiro senza fretta tra le sale, mi sembra di sentire le note dei walzer importati da Vienna, il brusio delle voci, il profumo inebriante delle signore, che si confonde con quello dei fiori.

Nel curatissimo giardino dell'albergo, dove non giunge alcun rumore dalla città che è pure tutto intorno a noi, parrebbe d'essere in un qualsiasi Paese europeo. Ma basta alzare gli occhi e vedere una scimmia che corre sul tetto, per rendersi conto di essere invece in Asia! Un corvo si posa su di un tavolino e beve tranquillamente da un bricco del latte, ciò che resta del tea-break di qualche ospite. Arriva un gatto (l'unico che abbia visto qui in Nepal): un ospite giapponese gli dà da mangiare dei pezzetti di muffin, io del latte da bere. Il micio sembra apprezzare entrambi e vi fa subito onore! Un gruppo di donne fa yoga vicino al grande salice. L'aria è satura del profumo delle magnolie e del gracchiare fortissimo dei corvi. Il cielo è percorso da enormi nuvole, come in un affresco manierista.

Un piccolo episodio che illumina la mia intera giornata: in ascensore incontro un giovanotto con in braccio un cucciolino tutto nero di forse sei settimane, una vaghissima somiglianza con un labrador. Mi dice di averlo trovato alla frontiera con l'India e di aver deciso di adottarlo. Decisamente un soul-mate! Gli racconto di Lea, Camilla e Daphne, le mie pelosotte adottate in un canile, e concludiamo - all'unisono - che sono cani meravigliosi, pieni d'amore e di gratitudine.

Scene di ordinaria, serena quotidianità, lungo le strade che portano da Kathmandu al Terai, dal Terai a Pokhara, e da quest'ultima nuovamente alla capitale. Un giovane uomo porta un bimbo sulle spalle: di colpo, rivedo me stessa a cavalluccio sulle spalle di mio Padre, nelle nostre lunghe passeggiate valdostane. Ricordo quanto bello, spensierato e sicuro apparisse il mondo da lassù, la certezza che nulla di brutto mi potesse capitare, finché ci fosse stato il mio alto Papà a proteggermi. Ora è il turno del bimbo nepalese...

Passa una donna, i capelli corvini raccolti in un morbido chignon, a mettere in risalto l'eleganza del lungo collo sottile. Sembra una statuina di Tanagra che, per magia, abbia preso vita.

Un bambino gioca con due caprette e ha l'aria di divertirsi un mondo. Ride, con l'adorabile risata di gola tipica della prima infanzia. Un altro corre a perdifiato, seguito entusiasticamente dal suo cane. Su di un piccolo prato, dei ragazzini giocano a cricket. Lo scenario è ben diverso dagli impeccabili sports grounds del St. John's College di Oxford e dalle immacolate divise dei suoi studenti, ma il piacere del gioco - è evidente - appare identico!

Dopo il caos di Kathmandu, è piacevolissimo trovarsi nella quiete della giungla sub-tropicale del Terai, nonostante il caldo umido feroce. Visitiamo il Royal Chitwan National Park a dorso d'elefante ed in canoa. Com'era facilmente prevedibile, di tigri e leopardi neanche l'ombra! Incontriamo invece rinoceronti unicorno, cinghiali (con i loro deliziosi cuccioli dal manto striato), manguste, un pitone, cervi pomellati, bufali, stupende farfalle nere e turchesi a frotte, pavoni (che all'alba faranno risuonare il loro lugubre verso), un'antilope. Lungo il fiume Rapti, troviamo numerose egrette, martin pescatore, un'aquila, molti altri bufali, ma nessun coccodrillo.

Non c'è habitat naturale che io trovi più affascinante di questo, coi suoi alberi dal foltissimo fogliame (sal, baniani, pipal), col rosso squillante dei simal ed il bianco avorio delle magnolie, l'altissima elephant grass, sfiorata dalla lieve brezza che si leva al tramonto. Il silenzio rotto soltanto dai versi degli uccelli e dai pesanti passi degli elefanti che - al pari di uno schiacciasassi - abbattono tutto ciò che si trovano davanti.

Osservo con grande attenzione i gesti ed i movimenti dei taciturni kornak: i comandi vengono impartiti premendo i piedi contro le orecchie dei pachidermi, talvolta a voce.

La notte, dal mio bungalow del Gaida Wildlife Camp, sento l'incessante frinire dei grilli. Mi fa un'impressione strana, un po' irreale, questo suono così famigliare in un luogo che di famigliare non ha proprio nulla!

Un'emozione fortissima, indimenticabile, ci viene regalata a Pokhara, nell'incantevole giardino del Fishtail Lodge, nella luce tenue e soffusa dell'aurora che - pian piano - illumina le cime dell'Annapurna, che si stagliano contro il cielo limpido e si riflettono nelle acque tranquille del Lago Phewa. Il pomeriggio precedente c'è stato un violentissimo temporale, i prodromi della stagione dei monsoni che sta per giungere, con vento, grandine, tuoni e fulmini, le strade trasformate in torrenti impetuosi in pochi istanti. Subito prima del nubifragio, in barca, ammiro la cupa bellezza del lago sotto il cielo plumbeo, solcato dalle prime saette. Torno al lodge che sono da strizzare e ben presto la mia camera è pavesata di indumenti appesi ad asciugare!

Il viaggio si è concluso in bellezza, con il volo panoramico (Mountain Flight), a bordo di un Beech 1900D della Buddha Air. Sottoscrivo in pieno il loro slogan: "Non ho scalato l'Everest, ma l'ho toccato con il mio cuore"! Già sul volo da Doha, "strategicamente" seduta accanto ad un finestrino sul lato sinistro dell'aereo, avevo potuto ammirare, quasi senza fiato per l'emozione (non certo per lo sforzo fisico!), alcune cime dell'Himalaya, con le nuvole - simili a panna montata - che si confondevano con la neve. E tutto quel candore creava un fantastico contrasto con l'azzurro intenso del cielo.

Purtroppo, però, durante questo breve soggiorno in Nepal, è successo qualcosa di terribile di cui sono stata testimone, insieme ai miei tre compagni di viaggio ed al nostro autista (oltre a migliaia di altre persone, naturalmente): un camion, sulla highway che collega Kathmandu a Pokhara, ha investito ed ucciso due bimbi. Non dimenticherò mai i loro corpicini stesi sull'asfalto, i piccoli piedi costretti nella spaventosa immobilità della morte, che non sapranno più la gioia delle corse e dei salti. Non conosco i loro nomi, quanti anni avessero, so solo che ho pianto per loro e per i loro genitori. Spero con tutte le mie forze che ora siano in quel luogo molto speciale che dev'essere il paradiso dei bambini, insieme al mio fratellino Carlo Ottavio... Queste mie righe sono dedicate anche a tutti loro.



Carla Polastro